25.7.10

The luxury of Dandoy


Nel mio immaginario Dandoy è legato a dandy. Banale ma in fondo la definizione di dandy si adatta bene ai biscotti Dandoy : raffinati, eleganti, originali, preziosi. In ogni creazione della quasi bicentenaria firma bruxelloise si puo’ mordere l’intransigente ambizione all’eccellenza. Innanzitutto gli ingredienti sono veri e freschi : uova, burro, mandorle, farina, zucchero, cassonade, thé, spezie… Non ci sono aromi né polveri sostitutive, al massimo un po’ di bicarbonato per preservare la freschezza dei biscotti un po’ più a lungo. Poi il savoir-faire che comprende anche l’eredità di un forno che dal 1940 cuoce il piu’ mitico dei prodotti Dandoy : il pain à la grecque. Savoir-faire di artigiani come Salem e Pascal, capaci di riconoscere a orecchio quando l’impasto è pronto.
Vi assicuro che l’atelier Dandoy é uno spettacolo. Non si tratta di saloni delle feste con candelabri e grandi specchi, al contrario l’ambiente è sobrio e nascosto. L’impatto é prima di tutto olfattivo : burro ! Il burro prevarica su ogni cosa e si sposa allo zucchero caramellando sui fogli di carta oleata disegni da intingere nel thè. Tutt’intorno ci sono carrelli verticali che si riempiono di teglie da infornare o appena sfornate: speculoos, pains à la grecque, palmiers, biscuits au thè…
Al nostro arrivo (sono con Carlo che gentilmente mi ha invitata ad accompagnarlo) siamo accolti da Monsieur Bernard Helson in persona che ci porge un cappellino di stoffa. Bernard ci inizia all’arte del burro e non fa misteri: qui non ci sono segreti! Vediamo un abile fabbricante che lavora la pasta sfoglia e aggiunge la farina come se fosse polvere magica, meraviglia ! Poco più in là un letto di granella di zucchero bianca bianca aspetta di vestire l’impasto del pain à la grecque. E un letto di quasi 2 metri e veramente irresistibile per me che di zucchero vivrei, irresistibile come il pain à la grecque appena sfornato, quando il caramello scoppietta ancora sull’impasto. L’ultima sorpresa di questo strano sogno mattinale é annunciata dall’arrivo degli stampi di legno, gli stampi per gli speculoos. Sono stampi firmati che rappresentano le figure della tradizione, ma anche stampi commissionati da clienti speciali. Ecco, immaginate uno speculoos a forma di Mmmmh! Ebbene, non è facile sformare un gatto e ci vuole ancora piu’ dovizia se si vuole imprimere nella pasta la forma di una donzella o di un Saint Nicolas. Gli stampi sono tanto più pesanti quanto sono grandi e per sfornarli il gesto è quello di girarli in volo e abbatterli seccamente sul piano di lavoro. Salem e Pascal sono dei veri mastri. Pigiano la pasta nello stampo, levano l’eccesso con l’aiuto di un filo di metallo, uno due e hop, un’altro! Ci prepariamo a lasciare Dandoy, il burro, lo zucchero... Un’ultima occhiata al laboratorio dove le donne impacchettano a mano le delicate amandines, le mie preferite. Vorrei un giorno una casa con il pavimento di amandines…
http://www.biscuiteriedandoy.be/

24.7.10

London Made in Italy


Non mi sentirete parlare molto di ristoranti, né di chef. Da perfetta italiana quale ogni giorno di più mi scopro essere preferisco mangiare a casa, anche di amici. Normalmente quando viaggio o lavoro, piuttosto di avvelenarmi con cibaglie preparate senza amore, adotto la tecnica di svegliarmi in anticipo e di prepararmi un sano pasto da consumare in qualche suggestiva location scoperta camminando per strade sconosciute o in un angolino che diventa il mio personale paradiso. Il punto è che per noi italiani la cucina e il cucinare non sono giochi da prestigiatori, né operazioni chimico matematiche. La cucina è per noi il senso dell’ospitalità, lo scambio : la cultura. A tavola non desideriamo essere stupiti, ma coccolati e riconfortati di tutto quello che fuori ci invade, o meglio invade il nostro giardino incantato. Per questo in Italia l’arte della tavola è così legata alla figura materna e al suo potere salvifico nella dimensione dei sogni. La madre come la cucina sono nel nostro immaginario i guardiani dell’età dell’oro. L’appetito che abbiamo a tavola è dunque quello del bambino. Per nutrire il nostro ospite scegliamo quello che di meglio la natura sa offrire : le stagioni, i colori, i sapori chiari e distinti dei frutti di una terra rispettata. Sulla tavola degli italiani troverete dunque i pomodori dell’orto, le ciligie dell’albero della zia, il pesce che oggi il papà ha comprato al mercato (ed è stata davvero una pesca miracolosa !). In generale il cuoco non sarà mai abbastanza soddisfatto della sua opera perché raramente le ricette riveleranno il sapore vero degli ingredienti. Il segreto sarà sempre che i pomodori sappiano di pomodori e che le uova assomiglino il più possibile alle uova. Lo scopo invece, lo ripeto, sarà quello di unire i commensali in un armonioso convivio che si chiama casa (casa = amore). Tutta questa premessa non è superflua quando si parla di Giorgio Locatelli, un italiano che ho scoperto grazie alla televisione (quando ancora ne avevo una e la guardavo). Come Jamie Oliver, una decina di anni fa Giorgio animava lo schermo spiegando le sue ricette. Come Jamie Oliver rappresentava l’idea di una cucina senza peccato, la cucina dei figli che non hanno paura di prendere in mano le cose e di dargli nuova forma con gesti decisi ma rispettosi. Mentre Jamie shakerava il pollo e le patate in un cartoccio marrone da mettere in forno, Giorgio apriva la mozzarella come una rosa utilizzando le sue dita. Mentre Jamie sbatteva la teglia del forno per risvegliare gli spiriti croccanti della pasta brisé, Giorgio condiva l’insalata immergendo le sue mani nella grande terrina. La differenza sostaziale tra i due era alla base quella conoscenza innata dei prodotti che è un altra caratteristica degli italiani. Nessuno stupore di fronte ad una zucchina, per noi esiste da sempre ! Quelle grosse che si trovano al supermercato non sono vere. Le vere zucchine sono piccole e spesso sono vendute ancora col fiore. Addirittura le vere zucchine sono quelle che abbiamo nell’orto. Quello che Jamie spiegava come qualcosa di appreso, Giorgio lo trasmetteva come un racconto che da secoli si tramanda, di generazione in generazione… Mi rendo conto che la distinzione sia sottile, ma credo valga la pena insistere su questo gap, é culturale ! Ma ritorniamo a bomba : la mi agita a Londra per mangiare alla Locanda Locatelli. Ebbene è tutto vero ! Si entra e ci si sente a casa. La locanda è un po’ una nave, un po’ sott’acqua l’idea dei separé di vetro con delle onde opaline che discendono e gli specchi bombati che riflettono pensieri di pesci. Essenziale il decoro : tovaglia e tovagliolo inamidati, le posate : 2. Arriva il bicchiere e poi l’acqua Lurisia, la mia preferita tra le italiane. Con lo staff parliamo italiano, in inglese con i vicini di tavolo. Sono Judy, che festeggia oggi il suo compleanno e Roy, suo marito. Loro hanno già finito l’antipasto. Cominciamo a parlare del Belgio e dell’Italia, quasi subito della famiglia. Ordino il Branzino alla Vernaccia di San Gimignano in crosta di pomodoro con puré di carciofi e poi l’insalata di rucola e datterini che chiedo di portare come antipasto. A completare il decoro della tavola arrivano un bicchiere di grissini stirati a mano e un paniere di legno liscio riempito di focaccine, mini pizzette e una rosetta. Nel frattempo Judy e Roy ricevono il primo. Sono i Malfatti con ripieno di ricotta, noci e melanzane. Li vedo scomparire e poi ritornare nel sorriso dei convitati. L’Italia è sempre più vicina, ci raccontiamo i nostri lavori e le nostre vite… arrivano i secondi ! Judy ha preso il Nasello in scabeccio (con coriandolo, aglio e finocchi), Roy il Vitello al saltimbocca, parmigiana di melanzane e finferli. Intanto io mangiucchio la mia insala di rucola e pomodorini e sento il sapore dei datterini e quello della rucola. I pomodori sono ottimi, mentre la rucola, di cui ho riscoperto il vero sapore durante il mio viaggio i Italia della settimana scorsa é solo sufficiente. Ad ogni modo l’insalata è condita perfettamente, penso e spero mescolata con le mani, anche se non da quelle di Giorgio visto che lui si trova in Sicilia, in vacanza : meritata!

E finalmente arriva il mio branzino. Il piatto è intrigante. Al centro, sul letto di puré di carciofi c’é il filettino. Aperto in due, la crosta all’insù, formata sulla pelle che comunque resta morbida. La gratinatura di pomodoro ricorda un po’ le spugne di mare e l’insieme della composizione una tartaruga. La Vernaccia di San Gimignano è raccolta nei calici di carciofo e l’unico modo di godersela sembra quello di prendere le foglie e succhiarle, come si fa a casa. Non ci penso nemmeno su e mi lascio andare (della macchia sulla camicia mi accorgerò soltanto più tardi!). Alla fine sono contenta, ho mangiato bene, in buona compagnia e ciò che più importante mi sono dimenticata di tutto il resto. Ordino il caffé e parlo del tiramisù con Judy e Roy. Il caffé è illy! arriva accompagnato da un piattino con due amaretti, due tartufi al cioccolato e due pezzetti di pasta di frutta. Ahimé, è l’ora del commiato, il lavoro mi attende! Ci immortaliamo a vicenda, ci salutiamo e ci diamo appuntamento a presto perché questo è il senso di una tavola che si rispetta : tornare!

La più buona Passata del mondo


Vi consiglio di riconsiderare la vostra idea di Italia e di mettere la Basilicata in bella vista. Effettivamente, la posizione di questa regione non é strategica. Chiusa fra Puglia, Campania e Calabria questa antica regione del mondo sembra essere di richiamo solo per grandi registi e pastori nomadi (a Matera, tra i Sassi, si sono girati molti film. L’ultimo e più noto al grande pubblico, La Passione di Mel Gibson). Forse è meglio così, forse è meglio che le masse se ne stiano alla larga, lontano da questo paradiso dove del resto io ho solo messo un dito e neanche tutto il piede. Ebbene si tratta di una natura strepitosa fatta di montagne, parchi nazionali e zone faunistiche protette. A Matera si trovano ancora intatti gli insediamenti trogloditi chiamati Sassi, dichirati a buona ragione patrimonio dell’umanità dallUnesco. Si racconta inoltre di un mare straordinario a Maratea, lo sbocco sul Tirreno e di antichi templi lungo la costa ionica. Ancora nella provincia di Matera si parla di « terre del pane ». Meno conosciuto di quello della vicinissima Altamura, il pane di queste parti é fatto col miglior grano duro, macinato a pietra e cotto negli antichi forni a regola d’arte. Il pane di Matera si pregia del marchio igp, come anche il fagiolo di Sarconi e il peperone di Senise. Hanno il marchio dop invece il caciocavallo silano e la straordinaria melanzana rossa di Rotonda che quest’anno potremo assaggiare anche da Mmmmh ! Cinzia infatti la coltiva nel suo orto : L’orto di Lucania appunto ! (http://www.ortodilucania.it/)
Ecco la meta del moi ultimo viaggio in Italia, ecco Cinzia e Fulvio e tutta la famiglia che si riunisce proprio nei giorni del mio soggiorno. Fulvio mi accoglie alla stazione di Ferrandina tra un mare di stelle (una filante), cicale e i miei adorati eucalipti. Al mio arrivo è molto tardi e solo l’indomani avrò piacere di scoprire la distante bellezza del paesaggio che incorona la valle del Bradano. Qui, all’Orto di Lucania siamo circondati, ma senza essere oppressi. Lassù è Montescaglioso, là Matera, quella è invece Ferrandina e ancora più in là sono Pomarico e Malionico. Qui in mezzo c’è una piscina ristoratrice che solo una siepe nasconde ai campi di grano. Sotto grandi pini , eucalipti, acace e tigli ci sono gli appartamenti, sobri ed eleganti. L’erba è fresca e un sentiero conduce all’uliveto che protegge la sala da pranzo. È Fulvio che si occupa del menu. I suo piatti sono gentili, il suo gusto nobile. La sua è una cucina semplice e rispettosa in cui tutti gli ingredienti si armonizzano e cantano insieme. Cinzia è il cuore pulsante dell’agriturismo. Il suo lavoro è certosino, segue i prodotti dalla semina al vasetto.
Dopo un’attesa durata quasi tre anni arrivo nel campo di pomodori dove l’ho trovata la prima volta che ho chiamato l’Orto per chiedere informazioni sula Passata. I san marzano stanno timidamente arrossendo, sono bellissimi e ne prendo cinque per la cena. Cinzia ride e dice che non sono maturi. Io le spigo che per niente al mondo me ne andrei senza averli assaggiati (erano buonissimi e anche Cinzia lo ha dovuto ammettere che per essere i primi, erano buoni !). Vicine ai pomodori si trovano le piantagioni di sedano, di melanzane, la barbabietola da zucchero e le angurie. Qui il metodo di coltivazione è biologico, le raccolte si fanno manualmente e tutto con un’attenzione che potremmo definire svizzera all’igiene. Come forse già sapete, la passata di Cinzia, ma anche i filetti sono di qualità superiore. Il segreto di una buona Passata (anche la conserva di filetti dipende dagli stessi criteri di lavorazione) è anche nel levare l’acqua in eccesso. Immaginate che per arrivare a un vasetto di 500gr ci vogliono almeno 2kg di pomodori ben maturi (vale a dire scelti uno ad uno). Cinzia mi spiega i vari passaggi per arrivare alla polpa e il suo racconto è così entusiasmante che mi sembra di satre su una neve a caccia di pirati. Al contempo predo coscienza della bontà dei sott’olio dell’orto di Lucania : i pomodorini (che vengono fatti seccare al sole su delle griglie che ho visto arrampicarsi sulla collina dove sorge il vecchio ovile del ‘700), i carciofini, le melanzane, le melanzane rosse di Rotoda e perfino il miele di eucalipto. Non ultimo l’olio, assolutamnte divino ! Prima della fuga riesco a strappare una foto a me e a Cinzia, saluto la famiglia che ormai è un po’ anche mia e do appuntamento a prestissimo perchè qui voglio tornare e stare un po’ di più…

Ps tra i prodotti tipici devo assolutamente segnalare un oggetto che si chiama cuccù. E uno strumento a fiato, una sorta di schietto in forma di gallinella sul cui dorso stanno un ciuffo d’erba e due uccellini. Il cuccù ha da sempre accompagnato la solitudine dei pastori durante le lunghe trversate e nel tempo ha assunto una funzione propiziatoria per le giovani coppie. Esistono cuccù di grandi dimensioni in cui si vede la natura crescere sul dorso appunto di una gallinella , che sia la terra, la bella Basilicata. I più bei Cuccù si trovano da Geppetto in Piazza del Sedile a Matera (ilsedilegeppetto@virgilio.it, Tel +39 0835 331857) Strepitosi e anche giganteschi i Cuccù di Tommaso Niglio. Di fronte alle sue opere si può veramente parlarlare di arte (Recinto Terza Annunziatella Matera – Tel +39 0835 333407)

19.7.10

Divorzio all'Italiana


Ieri sera ho chiuso in fretta il negozio per andare a vedere il film giù al paese. Il cinema era quasi pieno, il pubblico delicato. Abbiamo riso con rispetto e ammirazione per quel senso raffinato delle cose, per l'arguta capacità di architettare la storia. Abbiamo ammirato il genio del luogo così sapientemente ritratto. L'Italia è questa visione lucida del passato, questa distanza intelligente che è lo stile.
Divorzio all'italiana è un film del 1961 diretto da Pietro Germi

15.7.10

check in



la bambina ha un paio di piccole ali cucite sul vestito di hello kitty. gira intorno a un paletto canticchiando. suo padre ha l'aria di essere un contadino i vacanza: un contadino giapponese, serio, elegante. il contadino giapponese tiene in mano un passaporto thailandese e calza delle scarpe tecnologiche, delle nike aperte dietro come dei sandali. la bambina con le piccole ali ora gioca con lo zaino della mamma. la bambina ha un fratellino, l'ho visto prima, ma adesso è sparito fra la fila dei passeggeri. eccolo, è ritornato. si era allontanato con un ragazzo europeo. finalmente capisco che il contadino giapponese con il passaporto thailandese è solo il nonno dei due angioletti. sua figlia è la madre, il ragazzo europeo il padre. in questo momento la principessa hello kitty gira di nuovo intorno al palo dove si rispecchia e canticchia disarmonie giapponesi. poi abbraccia il fratellino, lo tocca. poi lui tocca lei, si cercano, cadono, giocano. il vecchio contadino giapponese continua a leggere il suo passaporto thailandese e poi guarda nel vuoto verso la pista di volo.