Corinna Cadetto

Alcune cose di me, camminando...

26.6.09

La festa

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PROJECT Video 2009

18.6.09

Pioggia



Suoni: Subsonica
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PROJECT Video 2009

11.6.09

Le mille bolle glug

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PROJECT Video 2009

2.6.09

MIGRAZIONE

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UN MORCEAU DE MA THÈSE

LE PROBLEMATICHE DEL PAESAGGIO

INTRODUZIONE -----------------------------------------------------
“A bien y réfléchir, je crois que
des compétences géographiques
assez comparables caractérisent
aussi une catégorie d’hommes assez
exceptionnels, ceux que l’on a
appelés les explorateurs. Ce sont
en verité des géographes.”
(Yves Lacoste).--------------------------------------
“Lo spazio geografico è così struttura
immanente della rappresentazione,
senso generale implicito nella descri-
zione enumerativa, visione del mondo
che tutti noi assorbiamo inconsciamente
fin dalla più tenera età tutte le volte che
dobbiamo risolvere problemi legati al
dove delle cose, cioè quotidianamente.”
( Giuseppe Dematteis).
----------------------------------------------------------
Mentre la conclusione rappresenta la veloce voluta su cui si richiude l’opera
che per mancanza di coraggio non descrive il cerchio di una vita intera,
l’introduzione apre la finitezza dell’opera alle infinite interpretazioni che
ogni opera finita racchiude in sé come possibilità o potenza1.
La finitezza sembra essere il requisito fondamentale di ciò che culturalmente
intendiamo con il termine comunicazione e questo ha a che fare con il
paesaggio, cioè con il linguaggio ovvero un insieme di segni variamente
interpretabili a seconda del punto di vista.
Allo stesso tempo, la finitezza permette di individuare un percorso, un
viaggio di scoperta che parte da un punto per finire in quello stesso punto
che non è mai lo stesso. La fine è l’heideggeriano “altro” inizio, il nuovo
sguardo su ciò che è stato, è e sarà.
Il percorso di questo viaggio intorno a Le problematiche del paesaggio è
iniziato con l’incontro di uno sguardo sensibile alla bellezza di quel dialogo
infinito che nelle più diverse culture nasce all’alba del nuovo giorno, quando
dall’indistinto caos si evidenzia il primo orizzonte, la più semplice delle
forme, quella linea vaporosa e illusoria che mette in rapporto e quindi unisce
e divide la terra e il cielo.
La scoperta del paesaggio, esteticamente inteso da Rosario Assunto,
inquadra didatticamente, ma non senza una forte propensione poetica ciò
che di fondamentale appartiene alla geografia dell’uomo, e cioè l’abbraccio
tra il finito e l’infinito: il mistero della vita, qualità insostituibile e
irriproducibile che determina il primato della natura su qualsiasi cultura e
chiarisce i limiti dell’artificio nei confronti del reale2.
Non è stato questo il luogo per approfondire il già ampio dibattito che cerca
di chiarire quali siano i segreti legami tra arte e natura, e basterà a questo
proposito citare il saggio di Friedrich Schelling su Le arti figurative e la
natura per stabilire il punto di partenza da cui sono nati i collegamenti con il
mondo dell’arte che abitano il seguente testo3. Ciò che in comune hanno la
natura e l’arte, così come il paesaggio e la sua rappresentazione figurata
sembra essere l’impossibilità di comunicarsi con un linguaggio diretto e cioè
non senza l’ausilio di metafore. E’ proprio constatando questa interferenza
culturale che qui si è preferito un approccio prima etico e solo dopo estetico
nell’affrontare il tema del paesaggio. Si è cercato dunque di far emergere
quella serie di problemi che riguardano i comportamenti soggettivi che
danno vita alle varie visioni che storicamente esistono al di qua di qualsiasi
rappresentazione, cioè prima, quando l’uomo respirando si trova
indissolubilmente legato a ciò che non solo gli sta di fronte, ma che
totalmente lo circonda. E forse non esiste frase più concisa ed efficace di
quella scritta da John Constable per rivelare la necessità del paesaggio per
l’uomo: “we exist but in a Landscape and we are the creatures of a
Landscape”4.
Ed è per questo che si può dire che siamo sempre in un paesaggio,
allargando così all’infinito le immagini che di esso possiamo proporre.
La scelta di ridurre il paesaggio a un archetipo quale è il paradiso è nata
insieme alla necessità di conciliare la visione etica e quella estetica in un
discorso che permettesse di rivelare cammin facendo i limiti personali nella
comprensione di ciò che durante il viaggio si è incontrato. Va dunque citato
qui un altro testo che successivamente all’apertura offerta dalle conoscenze
di Rosario Assunto si è rivelato essere una solida base per misurare le
distanze all’interno dei quadri che via via s’immaginavano. La cattura
dell’infinito di Alessandro Benevolo ha senza dubbio influito al nostro
sguardo la capacità di ragionare sulla quantità di cose che possono essere
comprese all’interno di un limite qualitativo e sull’illusione della conquista
di poter catturare l’infinito.
Il miraggio di un luogo perfetto in cui tempo e spazio coincidono con la vita,
il miraggio del paradiso, paesaggio ideale e desiderabile è legato
inevitabilmente nella nostra cultura alla scoperta dell’inferno che è il suo
risvolto e alla ricerca della strada che collega questi due mondi dividendoli:
il purgatorio. Poiché il paesaggio essenziale è costituito come abbiamo visto
da una linea orizzontale e quello ideale da un limite verticale che la
circonda, la prospettiva di una vita si può rappresentare solo inclinando gli
estremi opposti verso un unico punto centrale. Il risultato di questa
inclinazione tipicamente umana (prospettiva) è l’immagine della montagna a
cui nessun vrai conaisseur può sfuggire e che rappresenta il cammino o
viaggio alla ricerca di sé.
E siccome il nostro primo viaggio ormai è compiuto si può già cominciare
qui con qualche triangolazione a confrontare punti che nel percorso non
sono stati immediatamente adiacenti, operazione che del resto è impossibile
a qualsiasi ricostruzione critica, anche la più filologicamente accurata. Così,
attraversando il cielo si può raggiungere Hegel che durante il suo viaggio
sulle Alpi bernesi nota, o meglio annota nel suo sguardo filosofico, come sia
necessario piuttosto che bello ciò che appare ai suoi occhi5.
Le categorie estetiche che possono definire i vari paesaggi in base alle
sensazioni che l’uomo prova nel suo rapporto con la natura sono un
problema e una preoccupazione che non riguardano gli abitanti di quei
paesaggi.
La linea che culturalmente si oppone tra teoria e pratica si manifesta nella
realtà come una frattura fra colui che vive all’interno e colui che dall’esterno
può vedere ed è per questo che Joachim Ritter può affermare che “la natura
come paesaggio è frutto e prodotto dello spirito teoretico”6.
E’ necessaria una certa distanza, forse anche ignoranza per godere
liberamente delle cose. C’è bisogno di un senso di non appartenenza per
permettere all’individuo di appropriarsi di ciò che vede in modo estetico,
forse è per questo che la condizione di esule, e penso a Dante, a Petrarca, a
Leopardi e in generale alla condizione estraniante che anima la vita di chi
per mestiere vuole a suo modo raccontare, sembra essere l’ideale
realizzazione di una extra territorialità o extraterrestralità.
La responsabilità insita nell’abitare nel luogo, impedisce di vivere con
distacco e quindi di idealizzare ciò che si vede. Allo stesso tempo, la
riflessione in un mondo disabituale, la possibilità di cambiare specchio, con
o senza carrolliano attraversamento, genera nuove domande e risveglia la
coscienza sopita nel sonno della quotidiana abitudine.
Il pragmatismo hegeliano spinge il linguaggio in una direzione opposta al
vago piacere puramente estetico, ma senza negarne il valore, lo ritrova forse
alla fine del suo viaggio come tappa ultima di un percorso rigorosamente
filosofico svolto alla luce dei fatti coscientemente osservati.
L’idea di un lungo cammino interiore che si può esprimere nel senso della
confessione sia petrarchescamente riferita a un’ideale paterno, sia
wittgenstaniamente a un’ideale puramente umano ci conduce attraverso la
pratica etica all’ideale estetico, come se la forma perfetta fosse una
conquista della conoscenza. La confessione, che nella nostra cultura è
rappresentata da un paesaggio purgatoriale obliquamente orientato verso
l’alto del cielo, presuppone un paesaggio la cui forma è già impressa dentro
l’essere e che si può materializzare solo alla fine di un viaggio o scoperta
intesi come ricerca scientifica o geografica7.
Il paradiso delle origini si ritrova quando ai limiti verticali che il linguaggio
dei padri imponeva ai figli caotici e rivoluzionari si sostituiscono i limiti
verticali del nuovo linguaggio dei figli.
C’è un paradiso celeste che fugacemente appare al culmine della salita, sulla
cima del Ventoso petrarchesco, un’irrealizzabile e sconfinato ideale che una
volta intuito permette all’uomo di abbassare lo sguardo distogliendolo dalla
vanità delle apparenze. E c’è un paradiso terrestre che si può costruire ai
piedi della montagna quando, affrontata la discesa che libera il corpo dalle
fatiche di Sisifo, l’uomo ritorna a terra.
L’accettazione dei limiti che prima di tutto sono linguistici e quindi
geografici non significa la rinuncia. Paradossalmente la rinuncia si avvera
nei discorsi utopici laddove si limita ciò che è illimitato: l’immaginazione.
La rinuncia esiste laddove non esiste l’errore. L’accettazione dei limiti della
realtà apporta invece all’essere curioso un continuo stimolo a sbirciare oltre
la siepe che sia anche il sopracciglio, o il ciglio che sfuma i contorni di ciò
che vede l’occhio leggermente socchiuso in una smorfia fisica che significa
lo sforzo di comprendere ancora qualcosa, e ancora...
Siamo dunque giunti a concepire il muro con il paradiso terrestre e il
paradiso terrestre con il primo muro: il corpo, la materia che ci apparenta a
tutte le altre forme della terra, la forma che ci rende geograficamente
descrivibili e inscrivibili in un discorso che mira alla comunicazione, cioè a
essere paesaggio nel paesaggio, ed è da dire: di passaggio8.
Così Georg Simmel può scrivere la sua Filosofia del paesaggio in una
raccolta di saggi intitolata Il volto e il ritratto, lasciando sotteso il fatto che
ci sia un segreto legame fra gli elementi di un quadro che delimita un volto e
quelli di uno che limita un paesaggio, come se il volto fosse una metafora
del paesaggio.
Per ogni insieme finito di diverse cose il cui rapporto reciproco è
infinitamente variabile è necessario di volta in volta opporre un concetto
unificante che ne riveli i possibili contenuti espressi o le impressioni
contenute. La tecnica come strumento linguistico si dimostra la struttura che
attualmente viene ritenuta più idonea al fine di rendere disponibili le
informazioni contenute nelle forme, ovvero la memoria.
Il progresso della tecnica può essere immaginato come un enorme scaffale
componibile, l’heideggeriana scansia per libri (Gestell), in cui tutti i saperi
vengono via via divisi in settori sempre più specialistici. Ad ogni divisione
corrisponde un allargamento del quadro nello spazio geometricamente
inteso, cioè astratto.
Siccome la specializzazione procede in maniera direttamente proporzionale
a una certa dispersione di quello che un tempo era considerato il sapere del
saggio, quando era “semplicemente impossibile distinguere fra il medico e
il filosofo”, è necessario oggi individuare quel linguaggio che ancora riesce
a vincere le barriere fra le cose9. E questo linguaggio è quello della poesia.
Ed è appunto nella figura del poeta che attualmente si cerca la verità poiché
il poeta è colui che ciecamente si getta nel vortice (Wirbel) dell’abisso che
separa soggetto e oggetto, natura e cultura, verità e finzione per riportare il
mondo a quella visione unitaria che non distingue il giorno dalla notte, la
luce dall’ombra, la teoria dalla pratica.
Come dice Heidegger “il dire del poeta è fondante” e non pregiudica
l’esistenza della tecnica.
E’ il linguaggio della poesia che attualmente interessa alla geografia il cui
destino sembra essere da sempre quello di unificare i due saperi, di
conciliare non senza interesse natura e cultura. Poiché si potrebbe dire che la
geografia è quel contenitore sottile e performabile che permette all’occhio
destro e a quello sinistro di incontrarsi in sguardi unitari che abbracciano le
forme via via prese in considerazione. Se l’interesse primo della geografia è
quello di contenere non si può dimenticare che questo interessante sapere è
utile se non necessario alle politiche delle società umane da cui esso deriva.
Del resto il seguente lavoro non si è preoccupato che in modo superficiale
dei problemi contingenti, restando quasi sempre attaccato il più
possibile al limite più vicino all’uomo, cioè l’uomo stesso e per finire con
ciò che si è ragionato essere il suo paesaggio quotidiano fondamentale, cioè
la casa.
E’ da questo primo giro intorno alla circonferenza del mondo che qui si è
potuto vedere e che si è dimostrato come e perché si vede così e non in un
altro modo. Ed è da qui che si dovrebbe ripartire per un altro giro in cui dai
paesaggi ideali e filosofici si passa appunto alla casa, alla strada, alla città,
alla campagna, ai rapporti fra interno ed esterno e così via.
Giunti a questo punto vale la pena di fermarsi a riflettere sul perché questa
tesi, che si vuole definire sperimentale, è una tesi in geografia. E diciamo
che questa è una tesi in geografia dal momento che in questo luogo dichiara
apertamente di esserlo e che cioè vuole essere letta sapendo che ogni parola
è qui stata scritta, pensata e letta sotto il concetto unificante detto: geografia.
Questa volontà trae origine e forza da una premessa che il geografo Franco
Farinelli ha scritto per farci pensare su cosa precisamente sia una
dimensione10.
La premessa è dire dove siamo, in questo caso dove il geografo è. Mentre
Franco Farinelli incontrava il suo collega Gunnar Olsson in un bar, luogo
dove in Italia la gente parla e assume alcolici, quel bar si trasformava in una
carta o mappa, uno zero dove i due avventori molto speciali potevano
rappresentarsi i loro personali problemi. In quei giorni Gunnar Olsson era
ossessionato dalla relazione tra significato e significante e dalla natura della
linea che separa il primo dal secondo. Franco Farinelli stava invece
cercando di dimostrare come involontariamente, ma per ragioni storiche,
siamo portati a vedere il mondo intero come una gigantesca
rappresentazione cartografica. A dire il vero quest’incontro e l’immagine
che ne scaturisce potrebbe essere valida per rappresentare l’esistenza intera
dei due geografi. E’ l’immagine della loro ricerca e il luogo, il bar, è
l’evenemenziale spazio in cui la loro esistenza prende forma.
E’ inevitabile pensare che se l’incontro avesse avuto luogo in un altro
contesto le cose sarebbero state diverse, il linguaggio avrebbe assunto altre
forme, ma il contenuto, cioè le domande che presiedevano all’incontro,
quelle sarebbero state le stesse poiché connaturate all’esistenza umana di chi
per amore della conoscenza usa i sensi per colmare i vuoti della ragione e i
segni per dare forma alla vita.
È per questo che prima di cominciare ciò che in fondo è già finito si vuole
qui sommariamente illustrare con delle comuni immagini il contesto da cui
il testo ha attinto, la realtà geografica che ha permesso a parole scritte e
pensate in varie epoche e diversi luoghi di significare ancora qualcosa.
Poiché è solo partendo dal punto più vicino e considerando essenziale e
determinante tutto ciò che normalmente si usa che si può veramente andare
lontano e più o meno virtualmente viaggiare intorno alle cose che tutte
insieme sono il mondo.
Per cui non è banale affermare che questo lavoro ha potuto nascere solo a
Udine, in un appartamento situato in una zona tranquilla e composto da un
bagno, una sala con cucina, una camera e una stanza per studiare con
computer. Un appartamento fornito di impianto elettrico, riscaldamento e
acqua calda, condizioni materiali che ormai pochi sanno apprezzare come
lussi. Da non dimenticare la presenza di ampie finestre infisse con tecniche
isolanti e comunicanti con l’esterno. Il paesaggio quotidiano è stato questo
interno, vissuto più o meno felicemente e cioè come paradiso o inferno a
seconda della più interiore dimensione: la salute.
A nulla sarebbe servito questo luogo se tutt’intorno non si fossero trovate
con una certa facilità le cose indispensabili alla vita materiale. E metterò
sullo stesso piano gli scaffali del supermercato con quelli della biblioteca
civica, quelli della biblioteca del professor Micelli e quelli delle videoteche,
ma anche quelli della farmacia e dei negozi di vestiti e di scarpe. Non voglio
dimenticare le vetrine e gli schermi dei cinema e della televisione che
nell’ambito cittadino sono i veri paesaggi che quotidianamente entrano in
ogni persona. Ancora sarà da aggiungere l’importanza dei mezzi di
comunicazione come il telefono e internet e di informazione: giornali e
riviste.
Quanto ai mezzi di trasporto, pur continuando a preferire le gambe, non si
può negare che una fuga a Vienna non sarebbe stata possibile senza la
presenza di un collegamento ferroviario Udine-Vienna e le speciali tariffe
politiche applicate dalle società di trasporto. Ultimo ma imprescindibile
elemento geografico di questa tesi è il denaro, se non altro perché consente
di scegliere e qui la scelta è stata quella di ritornare al paradiso partendo dal
paradiso, percorrendo il purgatorio cercando di non scomparire nell’inferno. -------------------------------------------
1
Sul problema dello zero in geografia vedi Franco Farinelli, The Geography of Zero, in
Marco Picone (a cura di), Bodies and Space. Gunnar’s travels, Palermo, 2002, soprattutto
p. 82.
2
Rosario Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Novecento, Palermo, 1994.
3
La forza creatrice (interno) è il carattere che accomuna arte e natura ed è l’elemento
necessario insieme alla forma (esterno) per giungere alla comprensione delle cose. Vedi:
Friedrich W.J. Schelling, Le arti figurative e la natura, Abscondita, Milano, 2002.
4
Cito da: Giovanni Romano, Studi sul paesaggio, Einaudi, Torino, 1978, p. 173.
5
Georg W. F. Hegel, Diario di viaggio sulle Alpi bernesi, Ibis, Como, 1990.
6
Joachim Ritter, Paesaggio. Uomo e natura nell’età moderna, Guerini e Associati, Milano,
2002, p.41. Un esempio di felice unione fra interno ed esterno si può ritrovare nel caso del
paesaggio italiano nella dimensione ideale delle ville venete, argomento ampiamente
trattato da Denis Cosgrove per esempio in: Il paesaggio palladiano, Sommacampagna –
Verona, 2000.
7
Come dice Giuseppe Dematteis “quelli che si lamentano che la geografia non riesce a
superare uno stato pre-scientifico e cercano con poco successo di trasformarla in una
‘scienza’ non hanno capito che, privata di questa sua funzione identificatoria, la geografia
perderebbe una delle principali ragioni sociali della sua esistenza”. Cfr., Giuseppe
Dematteis, Le metafore della terra. La geografia umana tra mito e scienza, Feltrinelli,
Milano, 1996. p. 102.
8
Come dice Franco Farinelli: “non ci si può occupare decentemente del paesaggio se
appunto non si traduce ‘memento mori’ come il richiamo a ricordarsi di morire”.
9
Cito da Giorgio Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale,
Einaudi, Torino, 1977, p. 91.
10
Franco Farinelli, The Geography of Zero, in Marco Picone (a cura di), Bodies and Space.
Gunnar’s travels, Palermo, 2002, p. 79.

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CINÉ-CLUB

Considérations après-historiques et surtout transatlantiques (2007)

Il fasait froid à Versailles aux temps de la révolution. Il n’y avait plus de branches à brûler et donc, aucune volute de fumée soupirait des chaminées du palais. Dans de telles conditions, pour se protéger des maux et pour trouver la force de se réveiller chaque matin, les nobles avaient imaginé une séduisante stratégie. Ils commandaient des tonnes de délices au meilleur pâtissier de la ville de Paris, c.-à.-d. une entreprenante agglomération urbaine qui pistonnait au-délà de la limite du paradis. L’absorbante et disciplinée analyse de marché des nouveaux et de plus en plus caloriques gâchis donnait lieu à un turnover très rapide dans la top-ten de génies de la gourmandise. La journée des versaillais était un espèce de training perpétuel, un échauffement suscité par les obséquieuses offrandes des leurs éventuels fournisseurs de plaisir... Le fourmillant étincellement de la réalité dans laquelle se réflétaient les désirs de beauté de tout le royaume enivrait à tal point l’esprit des habitantes du palais qu’arrivées au délicieux moment du dessert, ils leur arrivait changer de table sans réussir à l’honorer. De nombreux Parisiens auraient contrefait de documents afin d’être indexées parmi les pushers du palais et non pas pour recevoir de gratifications en argent, qui, c’était clair pour tous, était destiné uniquement à la cause divine: être nobles. L’idée d’immortalité alléchait la foule des verteux et surtout ceux qui ne pouvaient pas se permettere le luxe se limitaient sagement à le créer. Le mal-entendu parmi ceux qui habitaient en deçà, ou en delà du mur qui séparait, mais qui en même temps unissait ce qu’on appelait la cour de Versailles et ce qu’on appelait la ville de Paris, était indéchiffrable. Les comptables et les économistes ne parvenaient pas à équilibrer le poids des charges. Trop élevée était la disparité substantielle entre ce qui était et ce qui apparaissait ne serait-ce que quelques instants, comme par exemple l’effet soyeux de la poudre de Chypre, ou la douce note de calycanthe qui fleurissait en plein été au passage de la robe de satin cerise. L’univers des coïncidences a donné au destin le privilège tout bourgeois de développer les coséquences du cas. Métaphoriquement, aussi bien le cou que le collier ont trouvé rapidement de doctes estimateurs. Pour finir, l’orgueilleuse justice obligée de croître sous les cendres de la liberté a revêtu de noire Terreur les lumineuses idées parfaitement alignées dans le nouveau système politique. L’éncyclophédie a subitemene tout re-nommé et elle est ainsi devenue maîtresse de son dernier extraordinaire échec. Marie Antoinette a été une reine des stars, un courageux espoir du rock, comme Wolfang Amadeus Mozart, du reste. Ce sont des divinités populaires, étoiles filantes. Des lieux inaccessibles comme de vases trasparents où puiser pendant la nuit des désirs: la seule occasion offerte pour désaltérer les rêves de la longue vie des mortels. Les souvenirs d’une époque où dieu habitait modestement partout étincellent incessantes dans la pièce de la mémoire. Aucun regret pour la vie en rose, aucun prix pour le courage démontré. Une seule rêgle vitale, même si offerte par une “autre” reine blonde: AUCUNE PORTE NE DOIT ÊTRE OUVERTE AVANT QUE LA PRÉCÉDENTE N’AIT ÉTÉ FERMÉE. Je me demande donc si le choix de Sophie n’est pas un choix à juger impopulaire. N’utiliser que de doublures pour ses tableaux rockoco, passe pour le roi cousin et pour les amies courtisanes, mais la reine! Je me réponds qu’il s’agit d’un luxe agréablement populaire.

THE ARCHITECTURE OF A STAND

The space of this time is called dragonsuite. “This place is thought that sliced through light with a knife of sound. The curves disappeared around the corner so everything is seen from the inside. Each curve’s base is more or less triangularly. The walls tell continuing stories. Everything moves and sparkles in this white section, exuding memories of the summer. The zenith neutralises the shadows and half-tones.” Inside the starship dragonsuite hall 8 stand b19 - c22 There are 90 talking dragonbananas that tell a story. It’s the story of the starship dragonsuite, the brand-new, adamantine flagship that is the first to float about Moroso’s luminous intergalaxy. The starship’s many triangles of various sizes give it the appearance of a three-dimensionable figure. The secret of its perfection is a puff of brilliant buckminsterfullerism rapidly immersed in the delicate geodesic sphere. The dragonbananas are like aquatic plants that tickle the repose of a large catfish swimming in the vintage screen of a black-and-white television, of course, the remote control has disappeared behind the sofa cushions of our memory and it’s probably enjoying itself in the company of a Kafkaesque odradek and a Judith Chalmers. There aren’t any bears in the dragonbananas’s story, none at all! There’s a mischievous monkey that amuses itself by changing its body, its unscrewable head often dissolves into a smock composition. Firstly, it becomes a tortoise shell and then a shortpeggyplufasfrog1. The lovely monkeyheadtotal is really amazing when supernaturally it opens its mouth in a puff-puff pout. A short solemn intermezzo allows the head of a famous know-all giraffe to talk. This quick figure is called bigripplegiaffatotal, its face is visible at day and at night and it only eats a boontjedecoratedbowl of shortmixturtlesoup2total per year. She says that EVERYTHING WE IMAGINE IS MADE OF OBJECTS THAT REST THE REPOSE IN THE MIND OF THE GREAT ROMOSO. The air is full of the song of sweet cip-cips and little shortrobochips. Their flight, against a sky of dismantledshortripplechairs symbolises the eternal judgements of the tiger that’s not there because he cancels himself out while creating his bizarre theories full of bigmiyakedressigtotal and bigpeggyplufasfrog1total. The fabric "weave" and brings a spell to the light of time. Real space is locked up in the lightning eye, which, like bigpapillontotal, sweeps over the indeterminate tapestry of seated masquers. “Enough!”, decrees athena’s owl, ”what we need is a nice dip in the temple of saruyamascimiscici”. According to the guide, this asian building is an amsterdramatic composition of imperial signs à la Roland Barthes. In the alphabetic atrium the trismegistusic doors introduce guests to the perfect seat. Throughout all the ornamentation, circularly returns the dragon. The animal of the four elements which, from head to foot and vice versa, even coils around ultrabaroque enchantment just to spread meninas everywhere. The princess shorttomitakitaboxtotal expresses her bizarre feeling of treemania by pirouetting while virtually hanging from the extinguished lights of a ghost town. Rain spouts between solid shorttableopenmans and then starts again, counting 1 2 3 the chicken’s up a tree. And so the wind unfurls over the divine ocean and ink blows on the solid laws of the sromoo theatre. Cyclical flaflanmixtotals are dotted with frogmensmocks and mikado tips, with littlenesteyes and ripplebusts. The extremes of time are shrouded in a long mediumripplejapjamtotalsession. The band’s all here and even past members come to celebrate together merrily. The expert entomologist will find them in the bigrobocipchilds and in the bigripplemasksix. Finishing with the most sharp-cornered dessert of the heavens to eat with the lukums. It’s a bigtomekbiphoptriptotal: absolutely delicious! This show of wonderwords generated through an artistic reworking of the technical drawings of osorom constellation’s most brilliant designers concludes with the presentations and supernaturalthanks. I am corinna and I poetically interpreted the dream designed by patricia urquiola + martino berghinz from milan + their agency full of amazing brainy elements. we all got connected together to indulge the capriciouscapers of our queen. A special bow to emiliano, tanja and giuliana, supreme pilots of the mother ship. The guiding principle is a company made of people, which is why signing on with the starship moroso is an adventure that fills our life with metaphoric meanings infinitely richer than the simple manufacturing of objects, because these objects are real dreams! corinna cadetto (2006)
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